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giovedì 31 marzo 2011

STURM, DRANG AND ROCK N' ROLL

Jena, 18 aprile 1821
ore 17:02

MESSAGGERA  Scusate, cercavo un certo Friedrich…
F. SCHLEGEL, F. SCHLEIERMACHER, F. SCHELLING, F. VON HARDENBERG, F. HEGEL  Sì, eccomi.
MESSAGGERA  Mah, guardate… non saprei proprio… qua c’è scritto “per Friedrich”. Vi chiamate tutti Friedrich?
CORO DI FRIEDRICH  Certo.
F. VON HARDENBERG (NOVALIS)  Beh dai, mi faccia vedere qua. Una lettera? È di un certo Wurstel.
F. SCHLEGEL  Orsù, leggicela!

NOVALIS (legge)

Caro Friedrich,
non puoi sapere quanto il tuo nome vada di moda tra i letterati tedeschi! Friedrich! Se non ti piace come nome, ma vuoi che tuo figlio diventi comunque un filosofo, al massimo lo chiami Friedrich di secondo nome! Friedrich! Ma come sono giunto a questa osservazione? Immagino che non ti interessi, per questo alla lettera ho allegato un sudoku con cui tu possa trascorrere più piacevolmente il tempo. In ogni caso, io te lo spiego lo stesso. Tutto è iniziato tre anni fa, quando ho assistito ad una delle prime rappresentazioni de Die Räuber (I masnadieri) di Schiller. Al termine dello spettacolo mi sono recato dall’autore per complimentarmi con lui e, una volta tornato a casa, osservando l’autografo che mi fece sotto l’ombelico (non mi sono ancora lavato!), notai divertito che aveva firmato col nome di “Friedrich”! La sera stessa, uscito da teatro, avevo deciso di andare a mangiarmi un brezel al chioschetto lì di fronte. Non puoi immaginare la mia sorpresa quando scoprii che il chioschetto si chiamava “Da Friedrich”! Preso dalla foga del momento e pervaso da questi forti sentimenti incontrollabili, sono fuggito nei boschi, per amplificare le mie emozioni nella natura. Fui fermato dai cani della DIGOS e arrestato per assunzione di panteismo romantico, Sturm und Drang, e altri stupefacenti. Trascorsi il resto della notte in questura.
La mattina seguente decisi di recarmi da Slotte, l’adorabile ragazza di cui sono perdutamente innamorato, e che mi chiama sempre sbadatamente Ursulo -che strana coincidenza! È lo stesso nome di quel giovine e simpatico garzone che la notte scorsa ho trovato nascosto nel suo armadio! E s’era anche dimenticato d’indossare i suoi indumenti, quello sciocco! Noi giovani sì che abbiamo la testa tra le nuvole, non trovi amico mio?-. Una volta giunto da Slotte, la trovai in giardino a carezzare il muso del suo docile destriero Bucefalo. Non so spiegare bene cosa mi accadde, ma fui preso da un impeto di gelosia, e fuggii lontano nei boschi, dove incontrai una dolcissima fanciulla con un caratteristico cappuccio rosso sul capo. Vedendola in compagnia di un tipo vestito di nero con un passamontagna sul volto, smisi di preoccuparmi,e continuai sulla mia strada. Come avrei potuto avere il cuore in pace vedendola tutta sola in un bosco pieno di pericoli e insidie?! Giunto sulla vetta della montagna più alta allargai le braccia, abbracciando il vento che mi soffiava sulle gote. Fu allora che capii: era venuto il momento di finirla. Mi sarei gettato giù dal dirupo e fine. Mai più Slotte, mai più i miei libri letti sotto i raggi di un sole domenicale, mai più il mio amico Wolfgang e le cavalcate sul suo puledro Volkswagen, mai più Oktoberfeste, mai più dialoghi filosofici con la finta salma del giovane Werther comprata su ebay a prezzo speciale, mai più conversazioni nei salotti più chic della Germania, mai più cucine Ikea. Fu allora che mi ricordai di aver lasciato il gas acceso e decisi di rimandare la mia morte. Magari se mi uccidendomi in Agosto potrei  essere assunto in cielo e diventare una costellazione. Per ogni stella caduta dalla mia costellazione, tu potrai esprimere un desiderio, Friedrich. No, vedermi correre cosparso di burro per la Kurfurstendam non è un desiderio plausibile.
Giunge quindi il momento di un epilogo. Che dire? Slotte non vuole più vedermi, dopo che mi ha sorpreso nel retro-stalla a minacciare Bucefalo con una forchetta da picnic. Cosa sarà ora del resto della mia vita? Beh, non preoccuparti, ti lascio al tuo sudoku. Con affetto e Sehnsucht,
il tuo Wurstel 

"ASMA" di Elio Volterrone

Riportiamo qui la penultima opera di Volterrone, “Asma”, ritenuta il suo testamento spirituale.

ASMA
Un tizio sta in piedi al centro del palco con un cesto di uova in mano. Deve sorridere durante l’intera rappresentazione. Ogni 3 minuti deve prendere un uovo e gettarselo sui piedi, per poi gridare “Barbra Streisand”. Deve ripetere questo gesto ogni 3 minuti, senza sforare assolutamente. Se sfora, tutto va in mona. Dopo 6 minuti, al secondo uovo caduto, deve entrare un carrello con una lavatrice sopra. Si deve sentire una registrazione di un respiro profondo di sottofondo, qualche colpo di tosse, e il suono del dentifricio sullo spazzolino. Quando finisce il suono, i tecnici delle luci lancino pure dei babbuini inferociti sugli spettatori.
FINE.

L'assurdo teatro dell'assurdo di Elio Volterrone

Elio Volterrone, massimo (e unico) esponente del teatro dell’assurdo molisano, nacque a Isernia nel 1923 da una famiglia di produttori di formaggi sottaceto. Suo padre voleva che Elio continuasse l’attività di famiglia e lo iscrisse alla facoltà di enologia di Campobasso, per poi scoprire che a enologia erano i vini ad essere studiati, non i formaggi, che la facoltà di enologia non esisteva nemmeno e che suo i dieci anni di suo figlio non soddisfacevano i requisiti d’accesso. Questa serie di conclusioni gli fece capire di non accettare consigli dagli sconosciuti, in particolare da quelli nudi che spuntano dalle cabine telefoniche gridando parole strane come “bunga bunga”, “rivoluzione” e, soprattutto, “enologia”.
Preso dallo sconforto il padre annegò la depressione nei bicchieri del bar “Tondo” (citato anche nell’opera di Volterrone “Il mio nome è Legenda. Con una L”). Qualche anno dopo scoprirono che in realtà il padre aveva sperperato il patrimonio familiare nelle scommesse alle corse delle capre, e non nell’alcool. Infatti egli beveva acqua di rubinetto al bar e poi, tornato a casa, si fingeva ubriaco, ritenendo l’alcolismo uno scialacquamento più dignitoso.
Questa verità sconvolse tanto Elio da portarlo a comporre l’opera: “Mio nonno era Calvo. Ora si chiama Marcello”. Una sera del dicembre 1946 il padre lo accusò  del furto di una caciotta. Elio si difese accusando Rufus, il pastore bergamasco di famiglia, ma il padre, ancora più adirato, gli intentò contro un processo. Elio fuggì in lacrime dall’aula del tribunale dopo che Rufus dichiarò che il miglior amico dell’uomo non fosse in realtà il cane, ma l’avvocato. (Qualche giorno dopo per questa dichiarazione fu eletto Ministro delle Pari opportunità, ndr).
Dunque Volterrone fuggì a Parigi dove conobbe Samuel Beckett a sua insaputa (insaputa di Beckett, s’intende). Preso divenne suo allievo, anche se in realtà Beckett non seppe mai nemmeno questo, poichè Elio apprese da lui ogni cosa nascondendosi per mesi nella cassetta della posta del drammaturgo. In una celebre intervista del 1990 Beckett dichiarò “Volter...chi?”. Successivamente si scoprì che il giornalista che lo aveva intervistato non era altro che Rufus stesso. Un particolare curioso è che, oltre a questa dichiarazione, Beckett non ne rilasciò altre dopo il suo stesso funerale tenutosi nel 1989.
Nel 1950 Volterrone tornò in Molise e nel Teatro dell’Asilo “Azzurro” di Isernia fu rappresentata per la prima volta la sua opera principe “Aspettando il 61”.
Dopo il successo di quest’opera, in un’intervista tenuta a una fermata dell’autobus commentò: “No. Il 61 non è ancora arrivato”.
La frase profetica lasciò la critica a bocca aperta quando, nel 1961 Beckett, giocando con una matita HB si ferì ad un occhio e andò all’ospedale. Nonostante l’insistenza di Volterrone nel dichiarare che il 61 fosse semplicemente l’autobus che aspettava, la critica decise che l’interpretazione migliore fosse quella intorno alla lesione della retina di Beckett.
Volterrone, prima di morire nel 1992, compose due opere: “Asma” e “Re Rufus”. Quest’ultima fu accusata di plagio da un greco di nome Kulos Kuadros, che vantava una discendenza da Aristofane, di cui possedeva i diritti d’autore. “Re Rufus”, che narrava il processo intentato ad un cane per un pezzo di formaggio, ritenuto troppo simile a “Le Vespe” di Aristofane, fu quindi censurato. Il dolore che questo evento provocò in Volterrone lo portò alla morte immediata, nel ’92 appunto. Sul letto di morte dichiarò “Il 61 non è ancora arrivato”. Tre ore dopo la sua morte l’autobus 61 arrivò con trent’anni di ritardo per “un guasto al motore”.