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giovedì 31 marzo 2011

L'assurdo teatro dell'assurdo di Elio Volterrone

Elio Volterrone, massimo (e unico) esponente del teatro dell’assurdo molisano, nacque a Isernia nel 1923 da una famiglia di produttori di formaggi sottaceto. Suo padre voleva che Elio continuasse l’attività di famiglia e lo iscrisse alla facoltà di enologia di Campobasso, per poi scoprire che a enologia erano i vini ad essere studiati, non i formaggi, che la facoltà di enologia non esisteva nemmeno e che suo i dieci anni di suo figlio non soddisfacevano i requisiti d’accesso. Questa serie di conclusioni gli fece capire di non accettare consigli dagli sconosciuti, in particolare da quelli nudi che spuntano dalle cabine telefoniche gridando parole strane come “bunga bunga”, “rivoluzione” e, soprattutto, “enologia”.
Preso dallo sconforto il padre annegò la depressione nei bicchieri del bar “Tondo” (citato anche nell’opera di Volterrone “Il mio nome è Legenda. Con una L”). Qualche anno dopo scoprirono che in realtà il padre aveva sperperato il patrimonio familiare nelle scommesse alle corse delle capre, e non nell’alcool. Infatti egli beveva acqua di rubinetto al bar e poi, tornato a casa, si fingeva ubriaco, ritenendo l’alcolismo uno scialacquamento più dignitoso.
Questa verità sconvolse tanto Elio da portarlo a comporre l’opera: “Mio nonno era Calvo. Ora si chiama Marcello”. Una sera del dicembre 1946 il padre lo accusò  del furto di una caciotta. Elio si difese accusando Rufus, il pastore bergamasco di famiglia, ma il padre, ancora più adirato, gli intentò contro un processo. Elio fuggì in lacrime dall’aula del tribunale dopo che Rufus dichiarò che il miglior amico dell’uomo non fosse in realtà il cane, ma l’avvocato. (Qualche giorno dopo per questa dichiarazione fu eletto Ministro delle Pari opportunità, ndr).
Dunque Volterrone fuggì a Parigi dove conobbe Samuel Beckett a sua insaputa (insaputa di Beckett, s’intende). Preso divenne suo allievo, anche se in realtà Beckett non seppe mai nemmeno questo, poichè Elio apprese da lui ogni cosa nascondendosi per mesi nella cassetta della posta del drammaturgo. In una celebre intervista del 1990 Beckett dichiarò “Volter...chi?”. Successivamente si scoprì che il giornalista che lo aveva intervistato non era altro che Rufus stesso. Un particolare curioso è che, oltre a questa dichiarazione, Beckett non ne rilasciò altre dopo il suo stesso funerale tenutosi nel 1989.
Nel 1950 Volterrone tornò in Molise e nel Teatro dell’Asilo “Azzurro” di Isernia fu rappresentata per la prima volta la sua opera principe “Aspettando il 61”.
Dopo il successo di quest’opera, in un’intervista tenuta a una fermata dell’autobus commentò: “No. Il 61 non è ancora arrivato”.
La frase profetica lasciò la critica a bocca aperta quando, nel 1961 Beckett, giocando con una matita HB si ferì ad un occhio e andò all’ospedale. Nonostante l’insistenza di Volterrone nel dichiarare che il 61 fosse semplicemente l’autobus che aspettava, la critica decise che l’interpretazione migliore fosse quella intorno alla lesione della retina di Beckett.
Volterrone, prima di morire nel 1992, compose due opere: “Asma” e “Re Rufus”. Quest’ultima fu accusata di plagio da un greco di nome Kulos Kuadros, che vantava una discendenza da Aristofane, di cui possedeva i diritti d’autore. “Re Rufus”, che narrava il processo intentato ad un cane per un pezzo di formaggio, ritenuto troppo simile a “Le Vespe” di Aristofane, fu quindi censurato. Il dolore che questo evento provocò in Volterrone lo portò alla morte immediata, nel ’92 appunto. Sul letto di morte dichiarò “Il 61 non è ancora arrivato”. Tre ore dopo la sua morte l’autobus 61 arrivò con trent’anni di ritardo per “un guasto al motore”.

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